Il TRAUMA è innanzitutto un'esperienza personale diretta di un evento che causa o può causare morte, gravi lesioni o altre minacce all'integrità fisica.

Come ripreso da Liotti e Farina in “Sviluppi traumatici”, il TRAUMA è innanzitutto un'esperienza personale diretta di un evento che causa o può causare morte, gravi lesioni o altre minacce all'integrità fisica. Inoltre, un TRAUMA PSICOLOGICO è esteso anche agli aspetti relazionali, cioè riguarda minacce gravi non solo all'integrità fisica di un organismo, ma anche al tessuto delle sue relazioni. Può essere incluso nel “trauma psicologico” anche situazioni non necessariamente e direttamente legate all'integrità fisica, come il caso della trascuratezza emotiva dei genitori nei confronti di un bambino, ad esempio. Il trauma psicologico, sebbene abbia carattere di oggettiva gravità, è sempre comunque definito in rapporto alle capacità del singolo soggetto di viverlo e di sostenerne le conseguenze. Perciò, in quest'ottica, il trauma è definito come un evento emotivamente non sostenibile per chi lo subisce. Infatti, la possibilità di reagire efficacemente da parte del soggetto ad una minaccia, pone il confine tra un evento grave ed estremo ma non necessariamente patogeno ed un evento che causa un vero e proprio trauma psicologico. Le risposte al trauma comprendono paura intensa, sentimenti di impotenza ed orrore. L'elemento di cruciale importanza è sicuramente quello dell'impotenza.La prima condizione di una situazione traumatica è che non vi è una via di fuga. Il senso di impotenza genera di conseguenza un senso di sfiducia, cioè l'impossibilità di chiedere aiuto e sostegno agli altri. Il trauma psichico diventa, così, il dolore degli impotenti. Quando vi sono condizioni stabili di minaccia soverchiante da cui è impossibile sottrarsi che caratterizzano ampi archi di tempo dello sviluppo individuale, dunque con effetti cumulativi, siamo di fronte ad uno sviluppo traumatico. Inoltre, come sottolineato nell'articolo https://www.stateofmind.it/2019/01/janina-fisher-trauma/, le persone che subiscono un trauma necessitano di tempo per elaborare l'accaduto. Viene attivata una risposta istintiva di sopravvivenza in cui il cervello produce, a volte, solo ricordi frammentati di ciò che è avvenuto, di conseguenza il modo di relazionarsi con l'evento traumatico diventa più ovattato ed apparentemente meno doloroso. Questa risposta adattiva di sopravvivenza messa in atto dal sistema nervoso centrale, potrebbe diventare cronica ed il soggetto potrebbe presentare continui stati di allerta. Janina Fisher ha dato un grande contributo al trattamento del trauma e dei disturbi ad esso correlati. Attraverso la terapia sensomotoria, ha dato molta importanza principalmente agli aspetti corporei (es. postura, tensioni muscolari, movimenti...), osservando come essi siano legati a particolari emozioni e pensieri. E' l'integrazione delle sensazioni corporee-emozioni-pensieri alla base dell'approccio preso in considerazione da J. Fisher. All'interno della relazione terapeutica, il paziente sperimenta all'interno di uno spazio di sicurezza le sensazioni corporee connesse a pensieri ed emozioni dolorose connesse al trauma da cui derivano. Esso inizierà, così, a vedere in maniera più distaccata le emozioni ed i vissuti traumatici. Infatti, secondo J. Fisher quando un'emozione dolorosa prende il sopravvento si verifica una vera e propria “fusione” con essa, è questa identificazione con lo stato doloroso a determinare la patologia. Secondo questa ipotesi, perciò, il paziente dovrebbe arrivare a mettere in discussione (grazie alla psicoterapia) l'idea di essere preda delle sue emozioni e vissuti traumatici, sostenendo allo stesso tempo che fanno parte di sé stesso senza bisogno di identificarsi in loro. Guardarle, cioè, “più dall'esterno”.Il terapeuta ha un ruolo cruciale in questo percorso di consapevolezza che porterà alla disidentificazione del paziente dagli stati dolorosi. Lorena Santarsia → scopri chi sono - i miei servizi - i miei sostegni